Buon compleanno Ennio Morricone: un viaggio nel suo incredibile mondo sonoro
Uno dei concetti cari al Maestro Ennio Morricone era il raggiungimento della redenzione attraverso la musica. La possibilità di vedere come una risorsa il conflitto interiore, il mantra del “non rimanere in superficie per trovare la ricchezza delle cose” incarnavano il suo modus operandi. E, come vedremo in quest’analisi, il celebre compositore romano era sempre molto combattuto anche nella scelta della strumentazione, soprattutto riguardo ai sintetizzatori, dei quali aveva un’opinione controversa.
Ennio Morricone, un uomo predestinato
La sua versatilità ineguagliabile
Forse il complimento più bello ricevuto da Morricone è quello di Giuseppe Tornatore: “non è solo un grande compositore di musiche per film, ma è un grande compositore”. L’epopea sconfinata delle sue produzioni cinematografiche non deve infatti offuscare l’ampio spettro di lavori dedicati alla radio, al teatro, allo spettacolo, alla sperimentazione (l’autore romano affianca alle colonne sonore un’intensa attività di scrittura di musica da camera rigorosamente contemporanea). Rimangono poi memorabili le lunghe stagioni di concerti ove le sue melodie si stagliano alte e solenni senza bisogno di altre rappresentazioni abbinate. E sicuramente un capitolo importante da non trascurare riguarda le sue incursioni, dirette o indirette, nel pop e nel rock, chiara attestazione dell’intreccio di stili presenti nella sua essenza di autore.
Una musica che ha saputo unire con la sua bellezza qualsiasi artista e fan senza steccati di genere: dagli arrangiamenti e partiture per artisti italiani come Paoli, Mina, Cocciante, Zucchero e Branduardi al disco tributo insieme a Bruce Springsteen, Metallica e Roger Waters. Non bisogna dimenticare poi la profonda stima ricevuta da guitar heroes del calibro di Santana e Clapton, a dimostrazione della sua “musica universale”, una delle forme più pure per esprimere emozioni, un mezzo potente e trascendente per connettersi con gli altri e condividere storie.
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L’incredibile patrimonio lasciato
Si dispiega così un nuovo modo di fare musica, seguendo la strada tracciata dai più grandi compositori, tuttavia poi svoltando alla ricerca di sentieri poco battuti o completamente inesplorati per dare sfogo a tutta la sua arte, la sua fantasia. Questa commistione di intenti ha spronato e elevato il Maestro, capace nelle sue opere di racchiudere l’emozione, lo stupore e la commozione e declinarli in qualcosa di trascendente, universale e anche misterioso, rappresentando con pignoleria affettuosa ogni momento della vita delle persone. La scelta degli strumenti in ogni suo brano ha un’importanza primaria e incarna proprio lo spirito dell’autore, sempre in piacevole conflitto tra antichità e modernità. La straordinaria abilità nel produrre melodie di grande atmosfera e immediatamente percepibili come assolute si scontra con una meticolosa ricercatezza della strada meno semplice per raggiungerla. E dalla fusione di queste contraddizioni nasce la magia della sua scrittura.
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La storia del Maestro Ennio Morricone: da studioso appassionato e meticoloso al Premio Oscar
Essere moderni attingendo dall’antichità
Figlio d’arte (il padre Mario era trombettista professionista), il giovane Ennio, classe 1928, si appassiona alla musica antica e contemporanea, seguendo numerosi compositori e soffermandosi maggiormente su alcuni dal piglio innovativo e, per certi versi, rivoluzionari come Monteverdi e Stravinsky. Ottiene svariati diplomi tra il ’46 e il ’54 nella sua Roma, al Conservatorio di Santa Cecilia, e con sacrificio e incredibile dedizione prosegue la sua formazione studiando musica corale e direzione di coro.
Trombettista, arrangiatore di musica leggera per orchestra e per artisti della casa discografica RCA italiana (da Edoardo Vianello e Gianni Morandi a Gino Paoli), Ennio Morricone è la perfetta sintesi di Spirito e Materia: ha l’animo sensibile e curioso da vero artista, ma anche la fermezza di chi vuole conseguire risultati con abnegazione e desiderio di uscire dai confini classici e canonici. Un uomo burbero e schivo, pieno di contraddizioni, ma generoso e geniale.
L’importanza dell’amico Leone
L’amicizia senza rivalità, ma vista come crescita e affettuoso confronto rimane un suo punto fermo, e il 1964 è un anno importante perché gli consente di riallacciarsi con il compagno di scuola Sergio Leone. Le affinità elettive tra i due personaggi sono sempre ai massimi livelli, come ai tempi delle elementari. Anche il regista è un pioniere, in questo caso della cinematografia, e già dagli inizi dei Sessanta sta cercando nuove forme narrative. Un insieme di coincidenze lo spingono a cimentarsi nel genere western (che sta vivendo un momento di declino), la cui matrice italiana da lui creata diventerà famosa come spaghetti western. Per un pugno di dollari segna la prima collaborazione tra Leone e Morricone e spalanca le porte del successo per entrambi.
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Il primo film della cosiddetta trilogia del dollaro viene velocemente seguito da Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo. Sono tutte pellicole che rimangono nell’immaginario collettivo come perfetta coesistenza tra scenografia e colonna sonora. Sembrano apparentemente inscindibili, anche se la potenza della musica consentirà di interpretarne alcune parti nei concerti staccandole dalla sceneggiatura, dimostrando la possibile astrazione e rendendole universali.
L’estasi dell’oro
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Un esempio indimenticabile di quanto affermato appena sopra è rintracciabile proprio nel tema L’estasi dell’oro, dal terzo film della trilogia. E qui si introducono alcuni argomenti che approfondiremo nei prossimi paragrafi. Il fatto che questo pezzo abbia tutte le doti dell’evergreen è garantito dalla geniale scelta dell’arrangiamento e della strumentazione, rivoluzionaria per una soundtrack: non vi è solo la voce sognante della meravigliosa Edda Dell’Orso, ma anche la chitarra elettrica distorta di Bruno Battisti D’Amario che emette un grido lancinante. Inoltre Ennio Morricone inserisce anche altri suoni sintetizzati, vere invenzioni per creare un’atmosfera unica e speciale. Una musica dinamica, una cavalcata sonora a cui vengono aggiunti strumenti elettrici fra cui il Sin-ket (di cui fra poco andremo minuziosamente a parlare), l’Hammond organ e il Rhodes, già tutti da lui utilizzati in passato.
Una carriera contornata sempre da grande qualità e inarrestabile prolificità
Come raccontato spesso da Leone, le musiche del Maestro Ennio sono indispensabili per le sue pellicole, basti pensare anche a C’era una volta il West, Giù la testa e C’era una volta in America, e lo saranno per tutte quelle a venire. Capita sempre più spesso che Morricone le componga prima dell’inizio delle riprese del film, diventando elemento proprio della sceneggiatura.
Fantasia, raffinatezza delle partiture e una sorprendente prolificità mai a scapito della qualità caratterizzano l’excursus storico dell’autore romano. Dai western di Corbucci agli storici di Montaldo, dall’epica di Bertolucci alla commedia drammatica di Tornatore, fino al cinema hollywoodiano, è una continua collezione di successi e la consacrazione internazionale giunge con Mission e The Untouchables. Nel 2007 riceve l’Oscar onorario alla carriera, a distanza di oltre quarantatre anni dalla sua prima colonna sonora di successo e, infine, nove anni dopo, ottiene per la prima volta il prestigioso riconoscimento nella categoria Miglior soundtrack per The Hateful Eight, con Quentin Tarantino regista. Finalmente, ma anche paradossalmente, poiché gli viene dato il premio per uno score spiazzante, scarno, “depurato”, tuttavia punto d’arrivo di uno studio e di un approfondimento compiuto da decenni.
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La scelta scrupolosa degli strumenti e il rapporto conflittuale con i sintetizzatori
Un artigiano della musica
Proprio The Hateful Eight è il momento in cui il Maestro si riconcilia con i sintetizzatori, le “odiate macchine” con cui ha avuto un rapporto contrastante durante tutta la carriera. Li utilizza nella maniera che ha sempre cercato di fare negli anni: non come scorciatoia, ma, da vero artigiano della musica, quando servono per mettere in evidenza un paesaggio sonoro, per innalzare con atmosfere adeguate una precisa scena. Morricone vuole comandarli e non subirne l’ingerenza, devono risultare assolutamente necessari per la tessitura che sta costruendo. Anche da questo attento modus operandi emerge il suo animo sensibile di artista dall’ispirazione infinita, dal geniale turbinio di stili e attitudini concepiti per decifrare e rappresentare quel mistero chiamato Vita. E la musica altro non è che il filo conduttore per riscattarsi, per riscattare un film e le sue tematiche.
La Musica come riscatto
Lo score di Malèna (2000), ad esempio, nasce proprio dall’emozione di scrivere partiture per la storia di una donna che veniva giudicata male. Aver lavorato per tale pellicola ha un significato trascendentale nell’ottica del compositore italiano: operare ai fini dell’emancipazione della condizione femminile. Il riscatto verso il proprio mestiere, verso una produzione cinematografica, insomma questa parola è chiave nell’universo morriconiano, come il rispetto, che Ennio nutriva grandemente nei confronti della sofferenza umana, rappresentata spesso tramite alcune delle più belle melodie del suo repertorio.
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La strumentazione e le idee per far musica nei film più celebri e non
Nei già citati film di Sergio Leone spicca un gusto per il dettaglio e il desiderio di andare oltre le classiche produzioni hollywoodiane del periodo. Accanto all’orchestra tradizionale Ennio Morricone opta per strumenti antichi di tradizione popolare, come spinette, cimbali e scacciapensieri (questi ultimi utilizzati anche in cult come Il clan dei siciliani e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, rispettivamente del ’69 e ’70). Ne sceglie inoltre di non convenzionali, oltre alla chitarra distorta e ai synth già menzionati per L’estasi dell’oro: i mandolini, la frusta, lo xilofono, il flauto di pan, la voce umana usata come puro suono e il fischio del mitico Alessandro Alessandroni, senza dimenticare l’importante ruolo conferito alla tromba, legato alla sua esperienza “bandistica”.
Ma la vera intuizione è abbinarli a melodie cantabili da opera italiana (basti ricordare il lungo rapporto con Edda dell’Orso), con una veste contemporanea, rendendo il tutto davvero d’avanguardia. Questi suoni arditi, la continua ricerca di commistioni tra arcaico e moderno toccano livelli altissimi pure in Mission (1986) e ne La leggenda del pianista sull’oceano (1998).
Tuttavia scavando a fondo nella sua immensa produzione si nota che la vena sperimentale, sempre presente anche se a volte più latente, si scatena scrivendo partiture per film di nicchia a fine anni sessanta e nei “poliziotteschi” dei Settanta. Sintetizzatori, dissonanze e vasto uso dell’elettronica qui la fanno da padrone.
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I sintetizzatori: fu vera idiosincrasia nei loro confronti?
Il pensiero del Maestro
Essere coerenti negli anni non significa non cambiare mai idea: se serve modificare alcuni atteggiamenti, credenze e pensieri per portare a termine un progetto occorre superare i propri tabù, le proprie idiosincrasie in funzione della realizzazione dell’obiettivo. Così per produrre musica nei thriller e polizieschi degli anni settanta (e non solo, comunque!), fino al già citato Premio Oscar The Hateful Eight, Morricone può e vuole convivere con i tanto disprezzati sintetizzatori, “macchine” che bisogna cercare di guidare, senza farsi comandare. Allo stesso modo la via semplice delle workstation costituisce secondo Morricone un forte repellente all’ispirazione, consentendo a chiunque di produrre melodia con il minimo sforzo, senza approfondimento e qualità. Si può concludere, quindi, che nella sua ottica le tastiere elettroniche sono viste come un male quando con esse si cerca di replicare il suono degli strumenti acustici, mentre sono complementari e utilizzabili per creare atmosfere nuove, un sound “progressivo”.
L’immobilità dinamica, l’improvvisazione organizzata
Accostare parole dal significato opposto è una delle predilezioni dello “psicologo” Ennio. Solo così, secondo la sua teoria, si può andare avanti nel costruire suoni e melodie: “immobilità dinamica” e “improvvisazione organizzata” significano conservarsi cambiando, sono concetti che legano i contrari e fanno parte della sua mente creativa. E ovviamente questo pensiero è riconducibile alla sua idea di strumentazione, chiudendo il cerchio. Suoni, melodie e strumentazione vivono una staticità apparente di continuo contraddetta dal sopraggiungere di eventi minimi, con inserzioni progressive di nuovi materiali, ritmiche diverse. Vengono in mente così lavori alla ricerca della trascendenza come Il deserto dei tartari (1976) e le vere e proprie sperimentazioni presenti in Escalation (1968) con jazz e funk in primo piano e I cannibali (1970), tentativo di transizione tra la musica classica e il folk jazz contemporaneo.
Si potrebbe affermare quindi che per il Maestro l’unico modo per progredire è innovare accettando il cambiamento, ma mantenendolo sui solidi binari delle conoscenze già acquisite, con un mix di strumenti e tradizioni musicali, apparentemente lontane ma armoniosamente insieme.
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Un interessante viaggio in alcune sue produzioni “minori”: tra sintetizzatori, musica elettronica e progressive jazz
H2S, un cult visionario, surreale e a tratti grottesco
H2S è un film italiano del 1969 diretto da Roberto Faenza, ove il compositore romano utilizza un impressionante sintetizzatore dell’epoca, il Syn-ket. Anche in questo caso Morricone è all’avanguardia, è antesignano nel ricorrere a questo mezzo elettronico, peraltro il primo “portatile”.
Il Syn-Ket è affascinante perché, sebbene sia stato introdotto un anno prima del sintetizzatore modulare Moog, è un potente strumento multi-timbrico all-in-one. È dotato di una tastiera a tre livelli che supporta l’accordatura microtonale, la sensibilità alla velocità e il controllo espressivo dell’intonazione attraverso il movimento da sinistra a destra.
Questa pellicola è tuttora un cult sia per la trama distopica, visionaria e surreale, sia per la tecnologia di cui si è servita la colonna sonora. Sono ancora tanti gli appassionati di synth che ne traggono ispirazione per jammare liberamente con lo strumento. Ennio Morricone lo userà in altri film molto celebri tra cui il thriller di Dario Argento Quattro mosche di velluto grigio e quel capolavoro di arte drammatica intitolato La classe operaia va in paradiso, entrambi del 1971, e, come accennato precedentemente, ne Il buono, il brutto e il cattivo.
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Assassinio sul ponte, un noir dalle tinte “giallo”
Intitolata anche Il giudice e il suo boia o, in tedesco, Der richter und sein henker questa pellicola del 1975 è diventata negli anni un must per gli hardcore fans delle colonne sonore. Dal jazz riletto in chiave moderna, con uso di elettronica e strumenti classici a partiture più tradizionali, la strada scelta è comunque sempre quella di contaminazioni tra generi e suoni.
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Spazio 1999
Spazio 1999 debutta il 14 gennaio del 1975 nelle sale Italiane
abbinata a un’affascinante colonna sonora, con tracce a tratti rocciose e ispide, con frenetici temi jazz e futuristiche sequenze elettroniche.
Rientra maggiormente nei canoni classici, invece, il grande tema orchestrale finale sentito nei titoli di coda, con la voce di Edda Dell’Orso e I Cantori Moderni di Alessandroni. Questo brano, tra le altre cose, viene poi riutilizzato per la miniserie del 1979 Orient Express, ancora una volta musicata da Ennio Morricone.
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Un divertente aneddoto a conferma della sua indole
“Mi viene un’idea pazza, l’ultima, ma perchè non osare? Morricone. ‘Sono in America, maestro, sarei orgoglioso, sarei onorato, di avere un suo pezzo’. ‘Su che stile?’ ‘Old America, blues, un po’ soul, così…’ ‘Ho un sacco di cose da fare. Non ho mica tempo, se vuoi chiamami tra una settimana, se mi è venuto qualcosa, te lo do.’ ‘Un pezzo breve, un minuto, un minuto e mezzo, metto io le parole sulla melodia.’ Lo chiamo: ‘L’ho già registrato’. Aveva preso l’orchestra a Roma, aveva scritto la musica e, siccome non si fidava dei musicisti rock, l’aveva diretto e orchestrato lui. Finito. Mi ha mandato il multitraccia. Ho scritto ‘Libera l’amore o liberatene per sempre’. Tre parole in croce. E questo è il pezzo di chiusura di Oro, incenso e birra.” Estratto da Il suono della domenica, Zucchero Fornaciari, Mondadori
Il racconto di Zucchero è molto divertente e incarna perfettamente tanti aspetti del Maestro. Schivo, diffidente, ma generoso e geniale. Morricone pur volendo a volte prendere posizioni manichee, tende a stemperarle o modificarle. In un mondo in cui spesso il pensiero dominante vuole classificare tutto in bianco o in nero, lui si è sempre schierato per il multicolore, anche a costo di contraddirsi e mostrare in pieno il suo scetticismo. Anche la sua bonaria repulsione nei confronti dei musicisti rock. Fa parte di una mentalità che non si fida delle scorciatoie, ma punta a tenere sempre saldamente in mano ogni sfaccettatura di una composizione. In Libera l’amore, peraltro, nella versione finale incisa sull’album, convivono perfettamente l’orchestra da lui diretta e la magnifica chitarra rock di Corrado Rustici.
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Tutto questo a dimostrazione di una possibile, pacifica convivenza di concetti musicali da lui visti come opposti, o in contrasto, e che poi sono risultati il sale del suo stile compositivo.
E il fatto di aver scritto la prefazione di Come un killer sotto il sole, libro di Leonardo Colombati dedicato a Springsteen, il sacerdote del rock and roll, è un’altra dimostrazione di tutte queste sue attitudini e sfaccettature da soppesare per rimanere in equilibrio perfetto. Lo stesso discorso vale per la sua partecipazione diretta al già menzionato disco We All Love Morricone, apprezzato tributo alla sua musica di star internazionali. Una musica ASSOLUTA la sua, possiamo dire, utilizzando ancora in modo più allargato una sua definizione per contenerla e descriverla tutta con un solo aggettivo. Una Musica che, come affermato magnificamente da Alessandro De Rosa, biografo del Maestro, per lui aveva almeno tre valenze: musica che non fosse applicata in maniera troppo ovvia, musica di qualità e che riuscisse ad andare oltre di lui, a bucare la storia.
We really all love Morricone: un genio nella storia della musica e dell’arte
Ennio Morricone è sicuramente riuscito nel suo intento di “bucare la storia”. In punta di piedi, testardo, ironico e pignolo, ma con un cuore immenso, ha emozionato e commosso vecchie e nuove generazioni. La sua spiccata intelligenza e sensibilità artistica lo hanno messo in condizione di ritrarre in modo originale stralci della sua epoca. Vengono in mente Lucio Battisti e David Bowie come altri esempi di continua innovazione e abnegazione, due spiriti affini al Maestro, sempre “piacevolmente” insoddisfatti, convinti che la prossima composizione sarebbe stata la loro migliore. Pensando alla sua passione calcistica e facendo un parallelo con la sua arte non si può non collegarle alle pennellate di Maradona, un altro genio creativo sempre alla ricerca della bellezza della giocata, come lui la cercava con il suo estro in musica. E a proposito di pennellate viene la pelle d’oca nel ricordare che Van Gogh diceva:
“Con un quadro vorrei poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori…”.
Parole profonde, che incarnano il significato più nobile dell’arte, quella capacità di interiorizzare la realtà che ci circonda, assimilandola fino allo spasimo e mutandola in sogno, aspettativa e virtù, in un viaggio dell’anima eterno, lontano dalle paure di questo mondo. Un viaggio in cui ci ha guidato il Maestro Ennio Morricone, la cui arte ha illuminato la vita degli uomini donando loro speranza e letizia nel cammino dei propri giorni.
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