a cura di Alessandro Vailati | 5,0 / 5,0 | Tempo di lettura approssimativo: 16 minuti
Kurt Cobain - Anima disperata sfiorita troppo presto

Kurt Cobain - Anima disperata sfiorita troppo presto  ·  Fonte: Pictorial Press Ltd / Alamy Stock Photo

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Amore, morte, ribellione e angoscia sono i grandi temi della vita affrontati dal rock, la cui incredibile potenza devastante ha consentito gli importanti cambiamenti sociali del secolo scorso. Kurt Cobain incarna, probabilmente, l’ultimo grande idolo di questo genere, quando ancora aveva un linguaggio universale. Ma non tutto è perduto, la storia lo insegna.

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Nel corso degli anni il rock ha continuato a superarsi e a rigenerare la forza tragica e sovversiva che stava sbiadendo nel tempo. Un’incessante rinascita per accedere nuovamente all’energia primordiale. Rivivere la parabola di Cobain significa tenere viva la fiamma, ricordando peraltro quanti artisti ancora si ispirano a lui. Andiamo ad approfondire, nel giorno dell’anniversario del compleanno, alcuni momenti salienti della sua esistenza tormentata.

La musica come rifugio sin da bambino

“At least he wasn’t alone (Too late)
He sleeps with angels (Too soon)
He’s always on someone’s mind”

Estratto da Sleeps with Angels, Neil Young

Vivere negli USA durante i seventies

Oggi, 20 febbraio 2024, Kurt Cobain avrebbe compiuto 57 anni. Ne sono passati quasi trenta da quel tragico gesto che ha chiuso la sua vita infelice per sempre. Figlio di una famiglia disadattata, come presto lo sarà lui stesso, nasce nell’anonima Aberdeen, cittadina cupa e piovosa di 15000 abitanti sorta alla foce di due fiumi, a un passo dall’Oceano Pacifico e a un paio d’ore da Seattle. Il padre è meccanico, la madre si destreggia con lavori saltuari per poi divenire casalinga all’arrivo di una sorellina. Il piccolo è iperattivo: non va ancora a scuola, però già suona batteria, chitarra e rumoreggia radioso. Il 1975 cancella di colpo la felicità sulla lavagna del suo cuore di bambino.

Improvvisamente il mondo gli crolla addosso: i genitori si separano, e spesso viene da loro visto come un’inutile zavorra, sballottato con risentimento tra l’uno e l’altro, intristendolo e rendendolo insicuro. Papà Donald non è uno stinco di santo, lo picchia, lo deride, lo sfida. Le sue sono vere provocazioni e potenti istigazioni alla violenza, ma ottiene esattamente l’effetto contrario, con il ragazzo sempre più chiuso in se stesso e convinto di risultare un peso, un oggetto scomodo, “qualcosa tra le scatole”, come scriverà in uno dei suoi pezzi più famosi e struggenti. Anche il nuovo schizofrenico compagno di mamma non è da meno e alimenta in lui depressione e senso di rivalsa. Solo le canzoni sono rifugio per la sua anima, in particolare quelle di Led Zeppelin, Kiss, Ramones, Black Sabbath, Iron Maiden, Stooges e, come ben sappiamo, David Bowie.

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La sua spiccata sensibilità e i primi approcci alla musica

Non ancora quattordicenne comincia a comporre i primi brani con la chitarra, influenzato dagli AC/DC. Si appassiona a tutto quanto collegato alle sette note e trova così uno stimolo per uscire dalla delusione della vita familiare. Prova empatia per i più deboli e sofferenti, nei quali si rispecchia con il suo animo delicato e brama un futuro nel mondo dello spettacolo. Un gruppo locale, i Melvins, sono il suo punto di riferimento. Adora le loro attitudini punk metal incastonate in un’intelaiatura rock e si muove però presto alla ricerca di qualcosa di diverso, che incorpori lo spirito di Sex Pistols e Clash ricollegandosi a virtuosi come il conterraneo Hendrix e a classici come Beatles e Rolling Stones.

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Già in quel periodo cominciano a prendere corpo le sue psicosi, le mille sfaccettature della personalità. Una personalità infantile, ipersensibile e depressa in un contesto di etica punk. E dalla fusione di queste contraddizioni nasce la magia della sua scrittura. Lo stile comincia ad affiorare e si scaldano gli animi: è il momento del primo gruppo, i Fecal Matter, con Greg Hokanson, che abbandona presto la band, e il bassista/batterista Dale Crover.

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La formazione dei Nirvana, l’improvviso successo e la consacrazione

Il rifiuto degli stereotipi e la ribellione allo status quo

I Fecal Matter rappresentano una sorta di trampolino di lancio per l’ormai eternamente affranto e apatico Kurt Cobain, un diciottenne anticonformista pervaso da pessimismo cosmico. Si comincia a riconoscere all’interno dei testi una sorta di nichilismo accanto a oscenità e strali nei confronti di una società omofoba e violenta. Affiorano una sincerità ed una rassegnazione disarmanti. Downer, presente nel loro primo rude, rozzo e mal registrato demo è un pezzo duro e funge da collante alla futura formazione dei Nirvana. Compare infatti anche nelle incisioni con Krist Novoselic, avvenute dopo lo scioglimento dei Fecal Matter, peraltro al termine di diversi cambi di formazione. E apparirà anche sulla riedizione in CD di Bleach, il disco che sancisce l’inizio dell’avventura.

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La gavetta prima della celebrità

Gli anni del grunge non sono nient’altro che la risposta a un pressante e per molti versi indefinito bisogno di ritorno alla genuinità. Raccolgono l’eredità dei Settanta più impetuosi e si scagliano contro l’ossessione per il look e la rutilante, a tratti autoreferenziale e ossessiva ricerca di nuove sonorità del decennio precedente, i famigerati Ottanta. E proprio verso la fine di quest’ultima decade nascono i germi di tale controcorrente, la rinascita di quell’immediatezza già evocata dal punk e attualizzata nel contesto di Seattle, tra rock alternativo, metal e hardcore. Così quando Cobain riesce a convincere Novoselic a formare una band, nessuno meglio di lui cavalca l’onda che spazzerà via come il mare in burrasca la plastica degli eighties.

Un uomo prostrato, drogato (l’eroina fa capolino in quel frangente), ma innamorato della musica, disposto a fare l’insegnante di nuoto, il bidello e il lavapiatti per mantenere il sogno di diventare una star. I Nirvana, nome scelto (dopo vari altri tentativi) in onore del suo significato taumaturgico, ovvero la liberazione dal male e dalle sofferenze dell’universo, cominciano a esibirsi nei vari locali con Aaron Burckhard alla batteria, poi sostituito da Chad Channing, e nel novembre 1988 registrano il primo singolo Love Buzz, in seguito incluso in Bleach, prodotto da Jack Endino, figura chiave per l’evoluzione del gruppo.  È sua l’idea, infatti, di inserire nel disco About a Girl, brano chiave nel “curriculum “ del trio, con quel lato smaccatamente pop che consente un break alle sventagliate hard, acide e abrasive presenti in scaletta.

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Da Bleach a Nevermind: cronaca di una carriera tormentata

L’accasamento alla Sub Pop

Avere finalmente un’etichetta discografica, seppur sui generis, come la Sub Pop al proprio fianco, consente ai Nirvana di pubblicare dopo alcuni mesi il materiale registrato. Bleach vede la luce a giugno 1989 e dimostra la crescita del gruppo, sempre alla ricerca di quell’immediatezza già evocata dal punk, ma tenendo al centro della proposta il senso di urgenza e lucidità dell’hardcore. Minor Threat e Hüsker Dü hanno tra gli altri un’influenza enorme sulla scena di Seattle e specificamente su Cobain e compagni. School è il manifesto del grunge, Paper Cuts strizza l’occhio agli amici Melvins, con Kurt che mugola “Nirvana” nel ritornello, mentre le finali Mr. Moustache e Sifting ironizzano sul machismo e si ribellano a qualsiasi forma autoritaria. Il disco comincia a vendere, alcuni concerti fanno spargere la voce di questa band nata dal nulla, ma con un sound e alcune cose da raccontare davvero potenti.

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In cima al mondo con Grohl e Nevermind

Proprio durante uno show dove i Nirvana sono headliner e i Melvins opening act (questo a spiegare come siano già cambiate le gerarchie) c’è Dave Grohl fra il pubblico. Il 1991 segna il suo ingresso nella lineup e la realizzazione di Nevermind. Niente sarà più come prima. Smells Like Teen Spirit trascina l’album in vetta negli Stati Uniti e in Europa. Languori post punk, melodie orecchiabili e suoni distorti lo rendono un disco epocale, che nel ’92 fa man bassa di premi e prosegue incessantemente nelle vendite (nel 2008 raggiungerà la cifra astronomica di 24 milioni di copie). La forza di Nevermind si declina in dodici canzoni di gran spessore. In Bloom, la tristemente profetica Come as You Are, Lithium, Polly e Something in the Way consentono airplay in abbondanza, mentre Breed e Territorial Pissing soddisfano l’ascoltatore alla ricerca di uno scossone emotivo.

A livello musicale l’opera si rivela un riuscito e inedito incrocio tra Beatles, Velvet Underground, Pixies, Clash e Police, sporcato dal livore e dalla ruvidezza di Sonic Youth e Black Flag. A ciò si aggiunge l’originalità dei testi provocatori, allucinati, rabbiosi, violenti e visionari di Cobain, fotografia di una Generazione X in difficoltà, frutto di una politica sempre guerrafondaia e ancora troppo lontana dal riconoscimento dei diritti delle minoranze. E l’iconica copertina del bambino di 4 mesi nudo che insegue in acqua una banconota appesa a un amo non fa che confermare questa sensazione di disincanto e disillusione. Rappresenta la metafora di una vita già in svendita nell’età dell’innocenza e ben inquadra come si sente Kurt, un perdente, al netto di tutte le sue contraddizioni.

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La svolta di In Utero e la “delicatezza” dell’Unplugged

Il disco che ha ucciso il grunge

La vita di Kurt Cobain è un susseguirsi di incoerenza, ribellione, genialità e malcontento diluiti in qualche istante di gioia e gloria. La tendenza ad autodistruggersi si palesa nel suo rapporto di amore-odio con tutto ciò che desidera e lo circonda: la fama, la nuova compagna e futura moglie Courtney Love, gli amici e colleghi musicisti (da Eddie Vedder a Axl Rose). I suoi repentini cambi di opinione, a tratti necessari allo scopo di mantenere limpida, onesta e naif la sua attitudine artistica, lo conducono a negare e in seguito accettare la realizzazione di una raccolta, Incesticide, per rimembrare al mondo le origini dei Nirvana (spiccano le cover degli amati Devo e Vaselines) e a pubblicare In Utero, prodotto da un intransigente Steve Albini, un lavoro controcorrente e in direzione opposta a Nevermind.

Un disco che mostra il gruppo sull’orlo della dissoluzione, con un pugno di grandi canzoni che alimentano i nuovi incubi vissuti da Cobain. L’angoscia adolescenziale è ormai svanita, ora è subentrata quella da rockstar, l’eterno contrasto tra l’onesto e ruvido underground da cui proveniva e il tanto anelato e poi detestato mainstream. In Utero trasuda il tentativo di riscatto, di un ritorno alla purezza iniziale, prima ancora che la parola grunge fosse utilizzata fino allo sproposito.

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Unplugged in New York: il testamento di Cobain

Un’esibizione intensa e sofferta per celebrare l’eternità della musica

Il 18 novembre 1993 la serie Unplugged si arricchisce di un nuovo, emozionante episodio con l’esibizione dei Nirvana. È l’occasione di avere una visione più ravvicinata e sincera della figura di Kurt, accompagnato dai compagni della band e inoltre, per alcuni brani, affiancato da Pat Smear, dalla violoncellista Lori Goldston e i fratelli Kirkwood dei Meat Puppets. La scaletta è variegata, con cover inaspettate e brani autografi che brillano di nuova luce nella versione acustica.

Lo speciale viene trasmesso per la prima volta a dicembre, per poi essere mandato in onda ripetutamente l’anno successivo  dopo quel maledetto cinque di aprile. Il disco viene pubblicato postumo, dodici mesi dopo l’esibizione; si tratta di un album strano e allo stesso tempo bellissimo, con una tensione all’eterno, proprio come l’arte di Kurt, che quel giorno lascia il suo testamento grazie a un’esibizione da brividi.

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L’insospettabile anima blues di Kurt

Lo show si chiude con la lacerante rivisitazione di Where Did You Sleep Last Night dell’amato bluesman Lead Belly. Cobain, insieme al suo amico musicista Mark Lanegan, aveva una grande passione per questo artista e per il genere, che ben si accosta alla sua vita infelice e alle poesie sofferte, a volte sconclusionate, che ci ha lasciato.

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Dorme con gli angeli

In fondo non era solo (Troppo tardi)
Dorme con gli angeli (Troppo presto)
È sempre nella mente di qualcuno

Traduzione di un estratto di Sleep with Angels, Neil Young

Neil Young scrive Sleeps with Angels dopo la morte di Cobain. Proprio Kurt cita il testo di Young, “It’s better to burn out than fade away” (da My My, Hey Hey (Out Of The Blue)) nel suo biglietto d’addio. Questa tragedia e il fatto di essere stato menzionato colpisce profondamente il songwriter canadese, che si ispira musicalmente ai Nirvana per comporre il brano. Young, a sua volta, ha avuto un profondo impatto sull’intera scena Grunge, con le sue chitarre rumorose e distorte, potenti e prepotenti protagoniste della sua discografia alla fine degli anni Settanta. 

And I swear that I don’t have a gun

Estratto da Come as You Are, Nirvana, testo di Kurt Cobain

It’s a big machine, it’s a big machine
We’re all slaves to a big machine

Estratto da Big Machine, Velvet Revolver, testo di Scott Weiland

La Fragilità di Kurt Cobain

Il suicidio, anche se alcuni lesinano alcuni dubbi che sia tale, pone improvvisamente fine alla vita di Cobain. Ormai schiavo dei meccanismi della grande macchina” che fa funzionare il mondo, corrotto e venduto al successo e al materialismo, Kurt non trova più ragione di esistere. Lascia questo mondo a 27 anni, come accaduto a molte altre star nella musica, da Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin a Amy Winehouse, senza dimenticare il primo che si narra vendette l’anima al diavolo, Robert Johnson. Nel panorama di Seattle, o collegato a esso, la morte aveva già toccato Andrew Wood e accoglierà tra le sue fredde braccia anche altri coetanei (o quasi) come Layne Staley, Scott Weiland e Chris Cornell, in una tragicità senza fine e senza parole.

La fragile condizione fisica e psicologica di Kurt, maggiormente provato del solito, lasciavano presagire una disgrazia. Negli ultimi concerti (uno, il 25 febbraio, davvero in condizioni pessime, a Milano), nelle recenti relazioni, con la moglie e la figlia, con gli amici, era parso devastato, soffocato dall’essere rockstar e ancora più infelice di prima, incapace di capire chi gli stesse veramente vicino o lo facesse per tornaconto. Nella sua musica c’è molto più di quanto appaia al primo ascolto e così erano parecchie le sfaccettature di una persona geniale, ma insicura, tormentata e diventata indifferente a tutto, pure all’amore. 

All Apologies

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All Apologies è il manifesto dell’interiorità dell’autore e con quell’incessante chiedere scusa a tutti, con quel perenne senso di colpa, esprime pentimento e contrizione. Un’anima in pena, vittima di problemi irrisolti, fra cui l’eccessiva tendenza agli abusi di droga e un’intricata sfera sentimentale. Un uomo e un artista incredibile, con un talento incommensurabile, un’intelligenza e una curiosità rare. Un uomo prostrato dall’infelicità che, dopo averne data tantissima con le sue opere, cercava bellezza ovunque intorno a sé, perché alla fine, purtroppo, non ne aveva più dentro al cuore.

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La scena di Seattle: la sua importanza e influenza per la musica contemporanea

Seattle è stata spesso dipinta come cupa e scialba forse perché vista principalmente incentrata nello sviluppo economico e commerciale. Tuttavia, dal punto di vista musicale, vanta una vivace scena jazz fin dagli anni Trenta, è la città natale di Jimi Hendrix e, nei Settanta, delle band Heart e Queensrÿche. Nei Novanta, poi, lo abbiamo analizzato nell’articolo, la città diviene celebre in tutto il mondo come culla del grunge. Band del calibro di Green River, Melvins, Mother Love Bone, Temple of the Dog, Soundgarden, Alice in Chains, Pearl Jam, Screaming Trees, Mudhoney, 7 Year Bitch, e, naturalmente, Nirvana imperversano e ben rappresentano le molteplici sfaccettature del genere.

La morte di Cobain, l’inattività prolungata degli Alice in Chains e lo scioglimento dei Soundgarden nel 1997, fanno velocemente esaurire l’hype. Proprio Kurt è stato probabilmente il primo a rendersi conto del declino: il grunge aveva trasceso i suoi principi originali ed era diventato parte di quella società contro cui era nato. 

La scena grunge ha comunque fortemente influenzato diverse band negli anni successivi. Si pensi evidentemente ai Foo Fighters, ma anche ai Creed, Bush, Nickelback e Three Doors Down per arrivare ai Big Thief e a gli inglesi Wolf Alice, due formazioni recenti di grandissimo spessore.

La filosofia di Cobain

Il tormentato e sensibile ragazzo di Aberdeen ha descritto come nessun altro il male di vivere della sua epoca. Un novello pessimista alla Giacomo Leopardi, ribelle e maledetto come Rimbaud e Baudelaire. La sua forza è stata di accettare e raccontare nelle canzoni le sue debolezze con liriche impressioniste, ermetiche, mai definitive. Cobain ha cercato, senza riuscirvi, di contrapporre alla triste caducità delle cose l’ottimismo degli sforzi personali per migliorare la propria situazione. L’amara constatazione che tutto, in natura, è destinato a decadere verso uno stato peggiore lo ha frenato, portandolo a una rassegnata accettazione di questo passaggio dal puro al corrotto.

Il raggiungimento del successo ha paradossalmente amplificato questo malessere, facendogli capire che anche i sogni e i desideri una volta raggiunti non danno la felicità. Un pensiero che ricalca e fa rivivere la filosofia di Schopenhauer: si creano sempre nuove aspettative in un circolo vizioso senza una via d’uscita che sia indolore. Le sue canzoni hanno però anche dimostrato di poter mettere in discussione tutto quello a cui si assiste e che spesso si trova inadeguato, che non soddisfa e non risponde alle esigenze di libertà e di espressione. Il rock insegna il contrario, che si può, se si ha voglia di conoscere, andare contro il sistema e realizzare qualcosa di migliore e in modo collettivo. 

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Le chitarre di Kurt

Facciamo una doverosa premessa: di certo Cobain non era un virtuoso. Tuttavia il suo stile chitarristico, l’ansia e l’irruenza con cui si rapportava alla sei corde (spesso proprio a livello di molestatore e distruttore dello strumento come si vede ad esempio in Endless, Nameless da Live and Loud) sono state correlate di frequente alla sua vocalità così intensa, contribuendo ad alimentare il fascino per la sua arte e musica. Lontano quindi dallo stereotipo del guitar hero, ma allo stesso tempo fondamentale nel ridisegnare un’estetica rock negli anni Novanta: ecco come si potrebbe collocare il carismatico frontman dei Nirvana. E per questo merita particolare attenzione il suo equipaggiamento. Innanzitutto la Fender Mustang, la sua preferita, perfetta per far uscire dal jack il suo istinto punk rock. Inoltre Kurt possedeva una Fender Jaguar del ’66, con cui si è presentato in sala d’incisione per In Utero

A queste si ricollega la Jag-Stang da lui progettata nel 1994 ispirandosi proprio ad esse. La forma richiama infatti le caratteristiche estetiche di entrambe le chitarre. Pochi mesi dopo, con la morte di Cobain, il prototipo non viene terminato. Nel 1996 la Fender decide comunque di metterla in commercio nelle finiture Fiesta Red e Sonic Blue. La produzione di questo particolare strumento si conclude nel 2006 e viene sostituito da altri due modelli Fender Signature. La Kurt Cobain Jaguar (2011), che riproduce la chitarra utilizzata dal musicista per la registrazione di Nevermind e la Kurt Cobain Mustang (2012), utilizzata dall’artista nelle esibizioni dal vivo e che appare nei videoclip di Smells Like Teen Spirit e di In Bloom. Rimangono poi da ricordare la sua prima acustica, una Stella da 31 dollari e la prestigiosa Martin D-18E che fa capolino per il leggendario live act di MTV Unplugged.

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